Racconto “Oscurità, amica mia”

Racconto “Oscurità, amica mia”

Nota racconto breve

Il racconto “Oscurità, amica mia” è stato scritto per una sfida nel gruppo Better than Canon. Il testo, breve, è ispirato alla canzone “The sound of silence” e per il prompt tredici del writober “perso”.

Oscurità, amica mia

Hello darkness, my old friend
I’ve come to talk with you again

Oscurità, mia amica di vecchia data, eccomi qui di nuovo a parlare con te. Cosa mai avrò da dirti di nuovo? L’ultima volta sembrava tutto risolto, ogni pezzo era andato al suo posto e io ero andato via felice di poterlo fare. Sono andato alla scoperta del mondo, nuovo paese, nuova città, nuove persone. Ero felice di quella esperienza, ero felice di poter vivere qualcosa di eccitante, un’avventura. Ero giovane e volevo mostrare a tutti che potevo arrivare in alto, potevo avere successo. E ci sono riuscito sai? Ho fatto vedere a chi credeva in me che non aveva riposto male la fiducia, li ho resi orgogliosi di me e allo stesso tempo ho fatto morire d’invidia tanti altri. Non credo di essermi curato né degli uni né degli altri, sono andato avanti con i miei piani perché una volta che inizi, non sai più fermarti.

La luna brillava in cielo fredda, illuminando un sentiero tortoso nel bosco fino al margine del burrone. Lì, in cima alla scogliera si vedeva un’ombra, un giovane che ammirava il quadro sottostante. Aveva i piedi a penzoloni sopra il vuoto, tuttavia sembrava calmo, come se fosse seduto sul divano di casa. Sotto di lui il bosco fitto sembrava un mare buio e profondo e la leggera nebbia non permetteva di vedere la sua fine.

Da piccolo mi hanno spinto a fare di più. Non condanno nessuno, anzi, sono riconoscente perché mi hanno insegnato che nella vita si può migliorare sempre. Un errore può insegnare molto, non solo su come evitarlo in futuro. Mi hanno ripetuto che posso fare grandi cose, se mi impegno abbastanza. E sulla scia di quelle parole, ho costruito il mio sentiero. Ho studiato, ho fallito, ho ripreso da capo, sono migliorato. Si fa così nella vita no?

Alzò la testa verso l’alto e guardò verso il cielo che stava diventando coperto a tratti. Nuvole leggere stavano coprendo in parte la Luna, come un velo leggero. L’atmosfera poteva sembrare inquietante a qualcuno, oppure poteva trasmettere pace a qualcun altro. In cima a quella montagna si sentiva solo il fruscio del vento tra i rami, la solitudine era così forte che pareva di stare fuori dal mondo.

Dopo la scuola e il fallimento con lo sport, ho continuato a cercare la mia strada. Insomma, è quello che fanno tutti no? Non si fermano davanti al primo ostacolo. E così ho fato anche io. Sono andato avanti, sono cresciuto. Dal ragazzino timido e riservato sono diventato un giovane ribelle che voleva conquistare il mondo. E poi perché vogliamo tutto quando in realtà ci basterebbe trovare una piccola cosa che ci rende felici? Perché vogliamo più di quello che forse saremmo mai in grado di gestire?

Un suono sinistro si alzò all’improvviso. Un uccello notturno spiccò il volo dal suo nido, muovendo i rami degli alberi attorno. Sembrava la scena di un film, dove il silenzio viene interrotto creando ansia e pelle d’oca a chi assisteva al tutto. Questo però non turbò per niente il giovane, che sorrise verso il cielo. Era un personaggio particolare, fuori da ogni regola. Indossava dei pantaloni e una giacca blu scuri fatti su misura, un taglio elegante che gli calzava a pennello. La camicia bianca creava un contrasto forte con l’oscurità attorno, era una macchia quasi riflettente sotto i raggi argentei della luna. La cravatta allentata, i capelli scompigliati dalle mani che ogni tanto passavano attraverso e le scarpe con qualche filo d’era sopra, erano gli unici dettagli che mostravano una crepa di umanità in quel quadro dove tutto apparentemente era perfetto.

Desideriamo tante cose e quando riusciamo ad arrivare a un gradino vogliamo subito salire al prossimo. Continuiamo fino a quando non ci troviamo così in alto che non siamo più in grado di vedere da dove siamo partiti. Lo ricordiamo certo, ma non lo vediamo più, non con gli stessi occhi almeno. Guarda me, dieci anni fa avrei riso in faccia a qualcuno se mi avesse detto che avrei avuto l’armadio pieno di giacche su misura, con le cravatte sistemate per colori e con le scarpe lucidate alla perfezione. Insomma, il ragazzino con le felpe di dubbio gusto e i jeans strappati che aveva come aspirazione massima il fatto di far colpo sulle ragazze, non c’è più.

Ad un certo punto ho preso una camicia, i jeans scuri dal taglio pulito e semplice, niente più strappi fatti ad arte, poi è arrivata la cravatta alla quale non riuscivo mai nemmeno a fare il nodo decentemente. In seguito è arrivata la giacca e poi le scarpe e piano piano l’armadio ha cambiato faccia. L’ho fatto perché ogni gradino che salivo verso il successo imponeva nuove regole. I vestiti di marca, quelli fatti su misura, l’eleganza, il profumo costoso, l’orologio che non serve nemmeno per vedere l’ora ma fa parte del personaggio, il taglio di capelli studiato, la posa rigida, lo sguardo duro. Piccoli dettagli che mi hanno trasformato in qualcosa che serve se voglio rimanere in alto.

Si passò un’altra volta la mano tra i capelli e sospirò. La stanchezza si faceva vedere, non solo quella fisica. Il suo corpo non aveva bisogno solo di un sonno ristoratore, ma un momento di pace lontano da tutte quelle voce che lo tenevano attivo in ogni istante. Persino quando era solo nella sua casa, il cervello continuava a lavorare e non riusciva a fermarlo. Solo lì, in cima a quella montagna riusciva a prendersi dei minuti di silenzio.

Oggi sono un uomo di successo, ammirato, seguito, tutti mi parlano e cercano il mio sostegno, una mia parola. Tutti vogliono un pezzo di me, vogliono che io dia loro un aiuto, un riconoscimento, un cenno.

Mi piace avere il potere, sarei un grande bugiardo se dicessi il contrario. A tutti piace il potere, tuttavia il prezzo per quello e per il successo spesso è alto. Frase già fatta, me ne rendo conto, ma è così. Non parlo solo dei vestiti che cambiano, delle abitudini, del modo di parlare e comportarsi, non parlo della casa o della macchina, ma di ciò che abbiamo dentro di noi: la solitudine. Possiamo essere circondati da decine di persone, ammirati, serviti e riveriti, eppure la solitudine lì in alto pesa. Non lo dicono quando si inizia la scalata, ma prima o poi quando arrivi in cima ti rendi conto di essere solo. Come in montagna, sei tu e la cima.

Si alzò e si pulì i pantaloni dalla polvere e dall’erba. Sembrava fuori luogo vestito in quel modo in cima a una montagna eppure allo stesso modo troneggiava sulla foresta sottostante. Sembrava piccolo e fragile sull’orlo del baratro eppure pareva stesse toccando il cielo. Sorrise di nuovo contro il cielo e poi riprese il cammino per scendere. Si fermò un attimo per guardare quel paesaggio che lo aveva affascinato da sempre e che stranamente gli aveva dato un senso di pace.

In alto sulle scale ti rendi conto di essere solo, hai il mondo ai tuoi piedi eppure se dovessi scivolare non ci sarebbe nessuno a tenderti una mano. Perché mentre scali, facendo a gomitate, aggrappandoti con le unghie per poter arrivare al gradino sopra, inizi a pagare il prezzo e perdi te stesso.
Oscurità, amica mia, ormai fai parte di me. Forse un giorno mi aiuterai a ritrovare chi ero e chi sono, forse mi aiuterai a trovare me stesso.

Informazioni

Il racconto è breve e non presenta un trama preciso. C’è questo giovane uomo che parla da solo, alla natura circostante o a se stesso (dipende da voi lettori) della sua vita. Il filo conduttore è la solitudine che prova ad essere ai vertici del successo.

Il testo presenta paragrafi dove il protagonista fa il suo monologo, e sono messi in corsivo, e paragrafi dove viene descritto l’ambiente.
Attendo i vostri commenti.

Disclaimer & copyright

Il contenuto del racconto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

4 Comments

  1. Maura L. Cohen

    Mia cara, non sai che piacere sia potersi ritagliare una manciata di minuti per leggere questa piccola perla.
    Sono ammaliata dal modo in cui tu hai usato il testo della canzone, creando questa armonia dolorosa di pensieri. Il tuo protagonista, che a noi resta ignoto nelle sue peculiarità, diventa la voce di ognuno di noi, facendoci provare la sofferenza della solitudine del successo. Per una persona determinata, che vuole scalare i gradini infiniti della vita, il terrore di ritrovarsi un giorno avvolto nell’oscurità del silenzio, rimuginando su quanto sia costoso essere se stessi, penso sia la paura più grande.
    Tu hai saputo rendere magistralmente questo tormento interiore, con una penna abile, che si muove sul foglio dando vita ad un muro di parole potentissime. Bellissimo anche l’alternarsi del monologo con la narrazione in terza persona: permette al lettore di essere protagonista e spettatore al tempo stesso. Esperienza intensa, devo ammetterlo!
    Complimenti vivissimi,
    A presto!

    1. Liv

      Ciao. Grazie per essere passata. Era da tanto che volevo scrivere qualcosa usando quella canzone, quindi grazie per avermi dato l’opportunità.
      Sono contenta ti sia piaciuto come racconto.
      A presto

  2. Martina

    Testo molto profondo, sembra che il giovane parla fra sè e sè e l’oscurità l’osserva da lontano, in attesa di ciò che potrebbe fare, lo studia mi sbaglio?

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